Giorno 3: il nostro ingresso ad Alcatraz


Di fronte al Building 64 ascoltiamo il discorso di benvenuto di un membro del National Park Service che, insieme all'ex-guardia oggi scrittore Ernest Lageson, inizia a raccontarci la storia dell’isola e ad indicarci la posizione dei bagni, la risposta alla domanda che più spesso gli viene posta, ci dice. Terminita la presentazione, ci avviamo verso l’edificio principale dell’isola, quello che ospita le celle, posto sulla sommità della collina. Durante la camminata superiamo edifici abbandonati, alcuni in rovina, segnati dal passare del tempo: si ha l’impressione che l’isola si sia fermata al 1963, anno della chiusura del carcere e da allora sia lasciata al suo destino, popolata soltanto da stormi di uccelli marini. Le targhette sugli edifici, indicanti ad esempio le residenze dei militari e delle loro famiglie, la centrale elettrica, la lavanderia e l’ufficio postale, ricordano che sull’isola non c’era solo una prigione ma un complesso sistema che la manteneva in vita, un sistema così costoso da decretarne la chiusura.

Uno dei tanti uccelli che sorvegliano la prigione

Entrati nell’edificio principale, riceviamo la preziosa audioguida che ci accompagnerà lungo il nostro tour, grazie alla voce narrante, disponibile anche in italiano, che ci guida in un percorso all’interno della prigione, raccontando aneddoti su ciò che stiamo vedendo, dando voce alle guardie e ai prigionieri del carcere, coinvolgendoci con musiche ed effetti sonori, ottenendo la nostra totale attenzione. La maggior parte dei visitatori porta le cuffie ed è intento ad ascoltare l’audioguida, cosicché non ci sono turisti che chiacchierano, gridano o si agitano, rovinando l’atmosfera.



Una cella del braccio Michigan Avenue


Broadway
Questa cella è pronta ad accogliere il suo ospite
Il tour comincia nel braccio chiamato Michigan Avenue: si tratta di una lunga fila di celle, disposte su tre piani, una accanto all’altra. Le prime celle che vediamo contengono solo l’essenziale, un lavandino, la tazza del water, alcune piccole mensole, una presa d’aria: è impressionante notarne la piccola dimensione (un metro e mezzo per tre) e vederne così tante, una di fianco all’altra, separate tra di loro solo da uno stretto muro. Mi immagino chiuso in una di queste celle, e sono percorso da un brivido. Raggiungiamo il corridoio chiamato Broadway, uno dei luoghi più famosi della prigione, probabilmente il punto con la maggiore concentrazione di celle, sempre distribuite su tre piani, disposte su due pareti opposte e ovviamente rivolte verso il corridoio. Non si può non pensare a che cosa si debba provare a camminare lungo il corridoio con tutte le celle affollate da prigionieri chiusi dietro le sbarre: si è pervasi da un insieme di emozioni, tristezza e paura, claustrofobia, persino rabbia, ma anche dalla ferma consapevolezza che chi è finito là dietro, ed ancora oggi finisce in una cella, è perché ha commesso qualcosa che non doveva e per questo è stato privato della sua libertà. Non sono mai stato in una prigione e questa probabilmente è la prima volta nella mia vita in cui penso concretamente a cosa significa la detenzione.


Il cortile del carcere riservato ai detenuti

La prigione vista dal cortile
Proseguiamo: l’audioguida ci spiega le regole del carcere e ci ricorda alcuni dei suoi prigionieri più famosi (Al Capone, il più celebre tra tutti). Vediamo alcune celle pronte ad accogliere detenuti, che rispetto alle prime che abbiamo visto contengono anche un materasso che occupa gran parte dello spazio, una scopa di saggina senza manico, un rotolo di carta igienica, delle salviette, una ciotola di latta e una copia del regolamento della prigione. Giungiamo al cosiddetto cortile della ricreazione: stoppiamo la narrazione dell’audioguida e usciamo a prendere una boccata d’aria. Il cortile, circondato da alti muri terminanti in filo spinato, presenta le gradinate su cui in molti film abbiamo visto i detenuti godersi dell’ora d’aria. Dalle gradinate la vista si perde nel mare ma soprattutto raggiunge le coste dove si riescono a scorgere città come Sausalito e San Francisco, che appaiono tanto vicine ma che per chi qui era detenuto non erano mai state così lontane e irraggiungibili. Camminiamo nel cortile: le reti metalliche sono piegate, segnate dalla ruggine, il muro è scrostato, l’intonaco cade a terra, i vetri di alcune finestre sono rotti e, come dicevo all’inizio, c’è una sensazione di degrado, di luogo abbandonato a se stesso e sinceramente spero che nessun intervento di manutenzioni cambi l’aspetto che ha oggi la prigione.

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